Il progetto inizia da una conversazione casuale con la committente a proposito del modo di intendere la casa, uno dei temi più affascinanti e difficili allo stesso tempo.
La casa è individuale e ognuno ritiene di sapere esattamente come la vuole.
L’architetto deve stabilire un dialogo franco e profondo con chi andrà a viverci e spesso dalla qualità del confronto, a volte armonioso e volte aspro, dipende il risultato finale.
Poi c’è il luogo. In questo caso il vigneto della casa paterna, assediato dalle nuove casette su due lati e dalla strada sull’altro. Unica possibilità di apertura quindi verso nord, con vista sulle colline e le rovine dei castelli.
La pianta a corte aperta disposta lungo la direzione dei filari consente di creare uno spazio circoscritto sul quale si affacciano gli ambienti della casa.
La casa rappresenta la necessità di ripristinare l’ordine almeno nel piccolo vigneto e riappropriarsi del luogo. La dimensione cercata è doppia: esterno-interno e pubblico-privato.
Da un lato si aggancia alle memorie stabili della casa contadina e delle colline evitando accuratamente il caos circostante.
Dall’altro ricerca una dimensione più intimistica, uno spazio concluso e nudo, che pare dedicato più alla meditazione che alle attività del vivere quotidiano.